Alpe Veglia

La piana del Veglia

Magnifica conca di origine glaciale, costituisce la testata terminale della Valle Cairasca. È circondata da un’ininterrotta catena di montagne sulla quale corre il confine italo-svizzero e culmina infine con l’imponente cima del Monte Leone. I valichi che incidono la cresta spartiacque non sono del tutto agevoli e l’unica facile via d’accesso è il versante sud-est, dove una mulattiera, percorribile anche con mezzi fuori strada, risale con numerose svolte l’erto gradino roccioso del Groppallo e penetra nell’ampia piana del Veglia.
Il nome “Alpe Veglia” sembra risalire al medioevo: in antichi documenti si cita il termine “Alpis Deveglia”, poi trasformato nel dialettale “Alp Diveja”, che deriva probabilmente da “vigilum”, inteso come luogo o tempo di quelli che vegliano o vigilano, in relazione forse alle scorrerie dei vicini vallesani che obbligavano gli abitanti della Valle Cairasca a una costante sorveglianza del pascolo.
Veglia è ricca di acque e numerosi sono i torrenti che convergono a ventaglio riunendosi nel piano a formare il Cairasca. È presente anche una sorgente di acqua minerale, classificata come acqua minerale acidulo-ferruginosa ricca di anidride carbonica. Sgorga a una temperatura di circa 7 gradi con una portata poco inferiore a 5 litri al minuto, troppo bassa per essere sfruttata a livello industriale.

Veglia è un’alpe ancora viva e da secoli è meta di transumanza dai centri di fondovalle. L’allevamento dei bovini si impose nel Medioevo su quello di caprini e ovini. Essendo le vacche animali poco propensi a lunghi trasferimenti, i contadini cominciarono a organizzare migrazioni a corto raggio, sfruttando la montagna per fasce altitudinali e costruendo malghe e baite per il ricovero delle bestie e dei pastori. Questo meccanismo di migrazione verso l’alto, di accumolo del foraggio e di produzione di latte e formaggio si ripete ogni anno, da secoli. L’Alpe Veglia è di solito “caricata” (in dialetto “caria”) ai primi di luglio e “scaricata” (”scaria”) a fine agosto. Nel dialetto locale (”dvarun”) la discesa al piano è sintetizzata da poche ma significative parole: “a scarium cu riva la bruma”.

Vitelli al pascolo (foto STUDIO RDS)
Il monte Leone (foto STUDIO RDS)

La piana del Veglia è dominata dal Monte Leone, poderosa vetta che rappresenta il punto culminante delle Alpi Lepontine. Dalla cima, sugli opposti versanti, scendono tre creste principali: quella est, interamente in territorio italiano, piomba sul lago d’Avino biforcandosi a formare una bella parete triangolare sulla quale sono tracciate diverse vie esclusivamente di carattere alpinistico; la cresta ovest-sud-ovest che divide i ghiacciai di Alpjer da quello di Chaltwasser e sulla quale corre in parte la via normale di salita dal Passo del Sempione; e infine la cresta sud, alquanto accidentata, che prende il nome di Stichelgrat, sulla quale corre la linea di confine. La prima ascensione italiana a questa vetta risale al 1868 e fu effettuata dall’ing. Veggiotti.

Escursioni all’Alpe Veglia e dintorni

Il sentiero dei fiori

È il sentiero più panoramico per raggiungere il Veglia, alternativo al tradizionale percorso lungo l’antica mulattiera che parte da Ponte Campo. Raggiunta in seggiovia l’alpe Ciamporino, si scende a sinistra lungo i prati e, seguendo le indicazioni, si raggiunge la vecchia cava di calcare. Da qui, superato un tratto accidentato, protetto da alcune corde metalliche, si continua in discesa fino a superare il rio Croso, a quota 1850 metri, dove riprende la salita. Una serie di erti gradoni conduce a una prima sella, poi, superati altri due faticosi tratti, si raggiunge la piccola cappella di San Silvestro, dove vi è anche una sorgente e, una cinquantina di metri oltre, la sella erbosa contraddistinta da una croce di legno, sotto le Torri del Veglia. Si continua in lenta discesa e, dopo un promontorio erboso e una breve salita, si giunge allo spiazzo della “porteia”. Il sentiero perde rapidamente quota e in breve si raggiungono le baite della Balma, primo alpeggio del Veglia. Si attraversa l’alpeggio in direzione nord-ovest fino a raggiungere in lieve salita una sella erbosa. Da qui si scende attraversando il bosco di larici fino alla bella cascata del rio Frua e poi in breve alla frazione Cornù.

Lago d’Avino (2246 m)

Situato in una conca ai piedi del versante orientale del monte Leone, era originariamente un laghetto alpino naturale, in seguito trasformato in bacino artificiale per la produzione di energia elettrica. Il toponimo deriva probabilmente da “lago d’arvina”, con il significato di “rovina”, riferito al vasto pendio detritico circostante e venne poi variato in “divino” o “da vino”. L’escursione, della durata di circa 2 ore e 30 minuti, ha inizio dalle baite di Cianciavero. Seguendo la stradina che entra nella valletta del torrente omonimo ci si inoltra in un bosco rado. Da qui, poco sopra, si possono vedere le “marmitte dei giganti”, formate da millenni di erosione fluviale. Dopo la radura erbosa di Pian Cucco un ripido canalone porta al piano sottostante la diga, dal cui muro si può finalmente ammirare lo spettacolo dei contrafforti del monte Leone riflessi nel lago.

Lago del Bianco (2157 m)

Piccolo lago di origine glaciale, è situato sopra il bellissimo pianoro di Pian dul Scricc. La sua particolarità sta nelle rocce giallastre che lo circondano, affiancate da una flora molto particolare, e nel limo e nella sabbia biancastra del fondale. Per raggiungere il lago si parte dalla frazione Cornù, nella conca del Veglia, si sale oltre il rifugio del CAI e da qui si imbocca il sentiero indicato dalla segnaletica a strisce della Grande Traversata delle Alpi. Dopo aver deviato a sinistra, si prosegue nel bosco di larici e rododendri, fino ad arrivare in prossimità di uno smottamento; da qui, superati altri tornanti, una valletta e un ultimo tratto pianeggiante, ci si trova infine di fronte al lago.

Il nostro territorio

La valle Divedro si apre a nord di Domodossola, sulla destra idrografica della Toce, dove questa riceve le acque del torrente Diveria. La valle divide idealmente le Alpi Pennine dalle Lepontine e geograficamente termina al Passo del Sempione. Il confine politico si colloca invece a circa 16 Km dall’inizio della valle, pertanto gran parte del bacino della Diveria è in territorio elvetico.

Varzo

Principale centro della val Divedro, Varzo sorge sul versante sinistro della valle. Con le sue 53 caratterstiche frazioni e i circa 2200 abitanti che lo popolano, è fra i comuni più estesi dell’Ossola. Situato lungo la via del Sempione, il paese è ed è stato un’importante tappa e punto di ristoro per i numerosi viandanti e mercanti che transitavano per il valico del Sempione.

Trasquera

Il paese, a 1096 m, è posto sulle pendici del Teggiolo in posizione panoramica: eccezionale la vista sul gruppo Weissmies e sulla catena dell’Andolla. La Chiesa Parrocchiale, dedicata ai SS Gervaso e Protaso, si trova prima di giungere all’abitato, isolata e a sbalzo sulla rupe che incombe su Varzo.

San Domenico

Frazione alpina del Comune di Varzo, San Domenico è situato a 1420 m di altitudine su un altopiano adagiato tra le pendici montuose che delimitano la Valle Cairasca. È una delle ultime località dell’intero arco alpino dove è ancora possibile vivere la montagna nella sua essenza.

Sempione

Il Passo si apre a quota 2006 metri e divide le Alpi Pennine da quelle Lepontine. A sud-ovest si trova il poderoso massiccio del Fletschorn, che per pochissimi metri non è annoverato tra i “quattromila” delle Alpi; a est la catena del Leone, la cui vetta non è visibile dal Passo.

Solcio

Solcio è un grosso alpeggio che si trova ai piedi di un vallone incassato e solitario. Il toponimo descrive il luogo: dal latino “sulcus” e dal dialetto “solch” col significato di solco, una profonda ruga nella montagna che si perde in alto nelle pietraie del Cistella, una delle montagne più belle dell’Ossola, celebrata da poeti e scrittori.